L’ottima blogger e viaggiatrice Pain de Route oggi ha avviato una utile discussione su un tema molto importante, l’etica in viaggio.
“è ancora etico visitare la Turchia come se fosse un paese qualsiasi (…) Ha senso parlare di etica di viaggio per i paesi che visitiamo? Ha senso non visitare dei paesi per la forma di governo che hanno, o per la loro semplice esistenza?”
Il tema mi ha subito colpito, avrei voluto dire la mia, ma poi ho iniziato a leggere i commenti e mi sono cadute le braccia. Sono corso quindi a scrivere qualcosa in in quattro e quattr’otto.
Il tenore dei commenti è stato principalmente di due tipi; il primo, minoritario, sostiene apertamente che questo tipo di boicottaggio sarebbe inutile e che il supposto problema etico non esista.
Mentre il secondo, rappresentato dalla maggior parte dei commenti, ammette l’importanza della discussione, ma infine trova quasi sempre qualche modalità di auto-assoluzione, come “l’importante è la coscienza di dove si va” o “dipende dallo stile di viaggio”.
Certamente da un punto di vista prettamente pratico lo stile di viaggio è essenziale e può cambiare le carte in tavola, come certamente la consapevolezza di dove si sta viaggiando è importantissima.
Ma chiariamo una volta per tutte una cosa:
Non possiamo arrogarci il diritto assoluto di poter viaggiare dove e quando vogliamo, come se nulla fosse.
Viaggiare è un’attività che volenti o nolenti ha un suo impatto, ecologico, sociale e umano.
Pretendere che viaggiare sia un’attività “laica” a scarsa responsabilità personale, utile ad arricchire noi stessi e basta stiamo sbagliando di grosso.
Quando viaggiamo, come quando compiamo gran parte delle nostre azioni, non possiamo esimerci dalla responsabilità che queste portano; viaggiando lanciamo messaggi, viaggiando inseguiamo sogni, abbracciamo uno stile di vita, viaggiando lasciamo tracce. Viaggiando inseguiamo un mondo migliore, fatto di ponti, di rispetto e di scoperta del diverso… di differenze che diventano valori.
È impossibile pensare di viaggiare come se nulla fosse.
Molti commenti si appellavano al fatto che se si dovesse fare le pulci a tutti i paesi del mondo probabilmente non ne rimarrebbe nessuno o rimarrebbe solo l’Islanda. Trovo tutto ciò tremendamente superficiale, come se viaggiare fosse un diritto senza conseguenze. Se veramente il mondo facesse tanto schifo da non valer la pena uscire dalla propria porta di casa ben venga non viaggiare, ma il punto è che il mondo non è così e che le diverse realtà, anche quelle critiche, possono avere sostanziali differenze e il nostro compito è proprio andare in profondità di queste differenze.
La trappola qui sta nel trattare il viaggio come un prodotto di consumo, in quanto consumatori nulla si può interporre fra noi e il prodotto, se non i soldi. Ormai questo pensiero è insito in noi ed è duro da estirpare.
Possiamo provare però almeno a soffermarci su altro; il viaggio alla fine è come una storia, nasce nella nostra testa, matura e diventa emozione mentre la si vive, infine poi ci lascia e si trasforma in una morale ed esperienze di cui fare tesoro.
Tutto ciò è l’opposto di un prodotto di consumo, tutto ciò è arte ed armonia, vi prego di non banalizzarla.
In quanto arte però è vera una cosa, nessuno di noi può definire quale sia un limite etico e oggettivo, perchè semplicemente non esiste. Etica e arte sono concetti strettamente personali, non definibili dall’esterno, sono soggettivi. Ma al tempo stesso definiscono te stesso, definiscono i tuoi valori e i tuoi sogni.
Viaggiare, fra l’altro, è ancora un privilegio. Gran parte della popolazione mondiale non può viaggiare, non ha il passaporto giusto.
Viaggiare è quindi una responsabilità da curare e custodire, da trattare per l’alto carico valoriale che porta e dobbiamo fare in modo che giovi non solo a noi stessi, ma anche a chi ci sta attorno e alla persone che si incontrano lungo la strada.
Già anni fa scrivevo che il viaggio è una delle poche cose che possiamo considerare massima espressione della nostra libertà, perchè nessuno può obbligarci a viaggiare. Ecco, non sprechiamo questa libertà cercando di appiattirla a mera opportunità. Alla lunga si finisce per banalizzarla.
Purtroppo è un tic che reputo molto occidentale, considerare troppo facilmente il mondo ai nostri piedi.
Se qualche Nigeriano mi dicesse che non vuole venire a visitare l’Italia (pur potendo farlo, ammettiamo) a causa di quello che abbiamo combinato nel mediterraneo negli ultimi anni, io non potrei che dargli ragione.
“Siamo come volpi sulla neve fresca. Bisogna stare attenti, noi lasciamo delle tracce vivendo, nostro malgrado. Per questo dobbiamo stare attenti a non lasciare tracce che portino al burrone.” M. Corona.
AGGIORNAMENTO:
Eleonora risponde e riassume i commenti qui.